#TribunaStampa: Perugia-Verona, sfida torrenziale ai confini del 2018

C’è chi fa le abbuffate a tavola durante le feste e chi, come me, sta leggero e fa il pieno di volley.

Questa è la mia terza partita in una settimana, Verona l’ho già vista due volte quest’anno da semplice spettatrice (in casa con Perugia e a Siena), ma scendere oggi al Pala Barton è per me un atto d’amore. Amore non per queste due società anche se, visti i rapporti che ho con la gente umbra, tornare qua ogni volta è un po’ come ritrovare una seconda casa, e per la Calzedonia Verona ho sempre avuto una simpatia. Amore con la A maiuscola, invece, per Matey Kaziyski, un imperatore bulgaro che mi ha rapito il cuore da quando lo vidi per la prima volta dal vivo durante la Supercoppa a Firenze nel 2008. Sia chiaro che sto parlando solo ed esclusivamente di tecnica, tattica e atteggiamento in campo: per me KK rappresenta l’essenza del pallavolista. E’ comunque un po’ strano vederlo agli ordini di quel Nikola Grbic che per due anni è stato il suo palleggiatore a Trento.

Formazioni tipo per entrambe le squadre, con Ricci che torna a disposizione in panchina per Lorenzo Bernardi, mentre Berger costretto ancora a seguire i propri compagni dalla tribuna.

Nella prima parte del set i due palleggiatori si affidano molto ai propri centrali, procedendo praticamente punto a punto. Poi va in battuta Wilfredo Leon….due ace consecutivi e Grbic costretto al time out. Colaci difende tutto, Spirito prova a variare il suo gioco, ma i lati non riescono ad essere incisivi, quindi appena può va in sicurezza al centro. Verona costretta ad inseguire per tutto il parziale, tenuta a galla solo da Solè (100% in attacco) e Birarelli, e i pochi break fatti grazie a Kaziyski al servizio, ma oggi alla Sir dai nove metri gira tutto e, con il turno di Atanasijevic prima e di Leon poi, chiude il primo 25-16 (se a un certo punto avete sentito un crack, era il mio cuore che si spezzava su due muri tetto consecutivi su Matey).

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E’ ancora in forma, il ragazzo

Nel secondo set è un’altra Calzedonia, più organizzata a muro e con gli esterni che finalmente trovano la soluzione giocando sulle mani dei giocatori perugini. Adesso c’è una partita, il servizio alla Sir non basta più, Verona riesce a organizzare il muro-difesa toccando praticamente tutti gli attacchi degli avversari, il gioco al centro latita e gli uomini di Grbic prendono un +2 che riescono a mantenere fino al 19-17. Poi succede qualcosa: Bata va al servizio e, dopo uno scambio lunghissimo, Leon la mette giù. Il palazzetto diventa una bolgia infernale, seguono tre scambi al cardiopalma che riportano il set in parità a 21, con il serbo che incita il suo pubblico lanciando i cori. Poi però, complice una Sir distratta, Verona torna a difendere e a trasformare i contrattacchi, chiudendo così 25-21.

Nel terzo parziale si viaggia lisci senza che nessuna delle due squadre prenda il sopravvento, gli unici break arrivano con le jump float di Birarelli e Galassi che mettono in seria difficoltà i ricettori perugini. Sul 24-23 per i padroni di casa scoppia una caciara degna dei peggiori bar di Caracas: il primo arbitro assegna il punto alla Sir, tutta Verona si infuria perché non viene concesso il video check, il secondo arbitro a colloquio con il primo che inverte la decisione iniziale e allora richiesta di check di Lollo (con vena chiusa) che conferma la palla fuori di Bata. Risultato? Perugia si rilassa, Verona si carica e porta a casa il set 27-25.

Nel quarto Perugia parte male e va subito sotto, ma Atanasijevic e Podrascanin prendono tutti per mano riportando la questione in parità. Nessuna delle due squadre è intenzionata a mollare: Verona la vuole chiudere per portarsi tre punti a casa, Perugia chiaramente non ci sta. Si va ai vantaggi, un ace di Potke e un muro perentorio di Galassi chiudono il parziale 27-25. E tie-break sia.

È un inizio di quinto set carico a pallettoni, nessuno molla, ci si butta su tutti i palloni e gli scambi si allungano. La Sir va subito sul +5, sospinta dal suo pubblico che non smette mai di cantare; l’atmosfera è bellissima e allo stesso tempo un inferno per gli uomini di Grbic, che si trovano schiacciati sia sul piano del gioco che su quello psicologico. Finisce 15-9 con un errore al servizio di Boyer. Mvp del match Marko Podrascanin. Nonostante sia stata una vittoria di squadra, sicuramente Potke è stato, insieme al compagno serbo, quello che più di tutti ha spinto per conquistare due punti preziosi.

Piccole note a margine.

  1. Qualcuno stiri i pantaloncini della Calzedonia;
  2. Leon non è un drago a muro, spesso scomposto e a volte fuori tempo e posizione, ma quando trova il timing giusto l’attaccante si trova davanti un tetto che ti fa ombra (citofonate a Boyer);
  3. Dalla regia mi informano di un vivace Nikola Grbic a fine partita (allego prove). Tranquillizziamo tutti garantendo la presenza nel nostro magazzino di una discreta scorta di goccine. Ha già pagato tutto Break Point.

Simona Bernardini

La Sorellanza augura a tutti un 2019 prospero e frizzantino. 
We’ll ride the wave, when it takes us (semicit.)

#TribunaStampa: Siena-Trento

Scartati i regali e terminata la serie infinita di pranzi e cene, si torna in campo, noi sicuramente rotolando, loro per fortuna sempre in forma, visto che in pratica non hanno avuto un attimo di pausa.

Archiviato il girone di andata che ha visto Perugia laurearsi campione d’inverno, ripartiamo dunque da Siena dove Babbo Natale porta Trento, che fino ad ora ha mostrato il gioco migliore di tutta la Superlega e che viene da una partita bellissima contro Monza dove, trascinati dal capitano Simone Giannelli, ha ribaltato una situazione che la vedeva sotto 2 set a 1 giocando un quarto set da record di durata (57 minuti!) senza mollare mai.
L’Emma Villas, dal canto suo, esce da un periodo tormentato, culminato con l’esonero di Cichello e l’arrivo in panchina di Zanini, giocatori che vanno (Fedrizzi a Spoleto) e vengono (Savani da Verona); insomma, non li posso lasciare soli per una partita casalinga che scoppia un casino. Vorrei aprire una piccola parentesi su Savani vs Siena: prima sì, poi no, poi no con sclerata a fine partita, vinta con la maglia gialloblu, verso lo staff senese e infine sì con post social di addio ai compagni di Verona che rispondono quasi in lacrime. Ora, messa così sembra un copione da telenovela sudamericana e qua ci vorrebbe Grecia Colmenares, ma io sono Simona Bernardini quindi faccio spallucce, scuoto la testa, sorrido e vado avanti.

Squadre in campo con i 6+1 titolari: Itas Trentino con Giannelli-Vettori, Kovacevic-Russell, Lisinac-Candellaro e Grebennikov. Emma Villas risponde con Marouf-Hernandez, Ishikawa-Maruotti, Gladyr-Spadavecchia e Giovi. Savani non è ancora a disposizione di coach Zanini.

La partita inizia ed è subito una bellissima lotta di talento tra i due palleggiatori, con Giannelli che finta il primo tempo smarcando Vettori e Marouf a una mano dietro per il suo opposto. Lisinac intanto apre le frontiere a un nuovo schema in veloce, talmente veloce che toglie la palla a Giannelli prima che la possa palleggiare. Per adesso non ha portato punti, ma ci stanno lavorando. Il primo set se lo aggiudica la squadra di casa per 25-21, Siena molto più incisiva al servizio e meglio organizzata dei trentini in difesa e contrattacco, dove le scelte di Marouf si concentrano su Yuki in pipe e Nando che non deludono.

L’inizio del secondo set è caratterizzato da tanti, troppi errori al servizio e pensate, ho visto anche Grebennikov sbagliare un’alzata in bagher, cosa che ha sconvolto pure Hernandez che, disorientato, ha invaso. La partita si anima dal 9-12 quando, dopo uno scambio lunghissimo, Lisinac pianta un chiodo nei 3 metri. I ragazzi di Lorenzetti sembrano aver trovato fluidità nel loro gioco, trascinati da Uros Kovacevic che prima aggancia a muro un tentativo di pallonetto di Ishikawa, poi mette giù palloni con estrema facilità (anche se insiste con quel palleggio in attacco che Claudio Galli fai qualcosa, ti prego).

L’Itas chiude così il parziale 25-17.

Nel terzo set Trento riparte con le sue consuete trame e ottiene subito un vantaggio di 4 punti, che andrà ad aumentare nel corso del parziale. Gli uomini di Zanini sembrano scollegati, con grossi problemi a muro che costringono il coach a provare un cambio al centro buttando dentro Cortesia (classe ‘99) per Spadavecchia. Muro che invece funziona alla perfezione per l’Itas che chiude il set 25-17.

Nel quarto parziale Zanini conferma Cortesia in campo, ma Siena è ancora scarica: se nei primi due set gli scambi lunghi li chiudeva a proprio favore, ora fioccano gli errori gratuiti e grossolani. A manifesto di tutto ciò segnalo Gabriele Maruotti che spara fuori con muro a zero.

Il problema principale è che Trento da metà del secondo set ha preso le misure al gioco di Marouf, organizzando alla perfezione il proprio muro-difesa. Sul 9-16 Zanini prova a scuotere i suoi sostituendo proprio il palleggio iraniano, ma il giovane e altissimo Giraudo può fare veramente poco per scuotere i suoi compagni. Rientrato Marouf, la partita è ormai avviata all’ovvia conclusione. 25-16 per gli ospiti e tutti negli spogliatoi.

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Zanini dovrà lavorare molto sulla tenuta mentale di questo gruppo che parte sempre benissimo (perché i mezzi ce li ha, eccome), ma si scarica alle prime difficoltà; un uomo carismatico come Savani potrebbe essere la chiave di volta e fare bene anzitutto allo spogliatoio.

Piccola nota personale a margine: è veramente complicato seguire una partita con Uros in campo: cattura la tua attenzione con la sua mimica da cartone animato e ti trovi spesso distratta e col sorriso.
E pure con una pallonata in pieno petto, tacci vostri a sbaglià le battute.

Simona Bernardini

#TribunaStampa: Perugia regina al giro di boa

Ultima giornata di andata della Superlega: tra tre giorni sarà Natale, quindi noi ci regaliamo Andrea Giani. Che male non fa.

La Sir viene da due partite un po’ complicate: prima una bella Padova (bella tanto quanto brutta Perugia, va detto) che le fa uno sgambetto, poi una Sora che ci prova vincendo il primo set mettendo in evidenza alcuni problemi di competenze in ricezione per i ragazzi di Lorenzo Bernardi e, soprattutto, una squadra ancora troppo dipendente dal proprio servizio. Con Ricci ancora fuori, Galassi parte titolare contro la sua ex squadra; nel contempo sfuma anche oggi l’esordio in campionato di Hoag, che comunque è stato accolto benissimo da tutti, soprattutto da Aleksandar Atanasijevic.
La Revivre invece, dopo un avvio di campionato sulle montagne russe, ha trovato gioco e continuità, battendo la Lube con un secco 3-0 che ha segnato anche l’esonero/dimissioni di Medei, poi Vibo con lo stesso parziale. Formazione tipo per Milano capitanata da Matteo Piano, che torna in campo dopo una discutibile prestazione danzante nel consueto video natalizio realizzato dai ragazzi di Giani.

Nel primo set Perugia scappa subito grazie al servizio di Atanasijevic e allunga con il turno di Galassi, il quale arriva anche dove un centrale non è mai arrivato: si immola in difesa. Proprio difesa e servizio fanno la differenza in questo primo parziale che si chiude 25-20. Milano in grossa difficoltà anche con i suoi attaccanti di palla alta, soprattutto Nimir.

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Da segnalare Bata che si dispera dopo aver sbagliato una palla alzata perfetta da Dore Della Lunga in bagher da fondo campo, questo perché sa che lo stesso Della Lunga glielo rinfaccerà per l’eternità.

Nel secondo set i ragazzi di Giani subiscono un inizio della Sir da schiacciasassi, di quelli che ti fan venir voglia che tutto finisca il prima possibile. Invece loro si mettono lì e con calma cercano di ritrovare gioco e soprattutto i propri lati per poter partire più concentrati nel terzo set (ma so, da pallavolista, che nella loro testa cercavano di girare il secondo; in campo non si ha mai l’atteggiamento da perdenti), anche se in realtà le percentuali in attacco di un set chiuso sul 25-20 dai perugini danno ragione al solo Luka Basic, preferito dal suo coach a Stephen Maar.

Nel terzo set Perugia si porta subito avanti e Milano sembra proprio non trovare il bandolo della matassa di questo match. Nimir veramente sotto tono, sembra la brutta copia dell’opposto più acquistato al Fantavolley nella scorsa stagione (per far capire lo stato di confusione che regna nel campo della Revivre: a metà set difesa e punto di petto di Luciano De Cecco).
La partita si conclude con un errore in attacco di Basic che è un po’ lo specchio di tutto il match, con l’ultimo parziale perso a 13.

La Sir Safety Conad Perugia si laurea così campione d’inverno.

Concludo dicendo una cosa: vorrei avere la facilità di concentrazione di Atanasijevic che, nei momenti in cui il gioco è fermo, canti i cori assieme ai Sirmaniaci, mima il gesto di suonare il tamburo, si ferma a guardare la ola sugli spalti e un attimo dopo scaraventa una parallela nei 6 metri chiudendo la partita da MVP.
Chapeau.

Simona Bernardini

La Sorellanza tutta augura al popolo uno splendido Natale e un 2019 colmo di grandi giocate e gag frizzantine. A prestissimo!

#TRIBUNA STAMPA: SIENA – CASTELLANA

Ebbene sì, a volte ritornano e in questo caso per vari motivi.
In primis perché Siena ha riportato il massimo campionato di pallavolo nella mia regione, quindi un po’ ci sono affezionata; aggiungiamoci l’ambiente informale e tutto lo staff molto disponibile, infine perché oggi c’è una sfida che sa tanto di anticipo dei futuri play-out proprio fra le due squadre neo promosse nella massima serie (altra grande novità di quest’anno, il ritorno della retrocessione). Il mio prossimo obiettivo sarà quello di convincere gli amici che gestiscono il palazzetto a riscaldare l’ambiente, diversamente potrei suggerire al reparto marketing di sfruttare questa temperatura, che previene la formazione delle rughe, come incentivo per far aumentare gli spettatori alle partite.

L’Emma Villas torna in campo dopo due settimane dalla prima vittoria in Superlega (ricordiamo a tutti che la partita contro la Lube, che si sarebbe dovuta disputare domenica 25 novembre, è stata giocata mercoledì 14 per permettere ai marchigiani di partecipare al mondiale per club in Polonia) e forse questa sosta “forzata” non è capitata nel momento migliore, visto che va un po’ a spezzare l’entusiasmo, specie se ci aggiungiamo le voci insistenti che danno Radostin Stoytchev sulla panchina toscana al posto di un Cichello che pare essere sul filo dell’esonero: dopo la partita persa contro Verona al tie-break, infatti, il clima al Palaestra si fa ancora più pesante (freddo, in senso letterale, lo è già).

La BCC Castellana Grotte si presenta a questo match con una partita in meno e in cerca della prima vittoria in Superlega, finora in difficoltà in trasferta, ma fra le mura casalinghe più incisiva dove è riuscita a trascinare al quinto set sia Modena che Trento. Ha (ri)portato finalmente in Italia Marco Falaschi, che si affida molto al suo opposto Renan Buiatti e può contare sull’esperienza e la solidità di Zingel al centro. E’ anche una partita ricca di emozioni per Paolo Tofoli, che ritorna a Siena da ex e che proprio sulla panchina della squadra toscana ha ottenuto il suo primo successo da allenatore vincendo la coppa Italia di A2.

Emma Villas in campo con il 6+1 titolare, per la BCC Castellana Grotte fuori De Togni (che era in forte dubbio già dalla vigilia) e dentro Scopelliti. Il primo set è una girandola di emozioni, si va punto a punto fino ai vantaggi con i padroni di casa più organizzati in difesa e con un muro più incisivo rispetto ai pugliesi. Alla fine la spuntano i toscani per 30-28. Nel secondo set gli ospiti provano a scappare via dall’inizio, ma vengono ripresi subito. I ragazzi di Tofoli pagano l’eccessiva fallosità in tutti i fondamentali: attacchi fuori, ricezione che traballa, poco reattivi in difesa e battute poco efficaci. Siena mette la freccia e accelera e, nonostante un tentativo di aggancio di Castellana sul finale di set, si aggiudica anche il secondo parziale per 25-23. Anche nel terzo set i pugliesi partono in vantaggio portandosi sul +5 e questa volta, complice una Siena un po’ distratta che tiene botta solo con i centrali, riescono a portarsi a casa il parziale per 25-21. Il quarto set parte con una novità: Michele Fedrizzi in campo al posto di Maruotti. Hernandez fa il bello e il cattivo tempo e passa dall’essere trascinatore al buscare sonore stampate a muro (anche perché di là non c’è “Ciccino d’Avane” cit. Il Magro) e poi ancora trascinatore, così in loop per tutto il set fino alla vittoria della Emma Villas, che così allunga in classifica su Castellana. MVP della partita il cubano, cercato molto da Marouf nell’ultimo parziale con ottimi risultati, anche se vorrei segnalare la grande prestazione di Andrea Giovi sia in ricezione (dove ha chiuso con un 62% di ++) che in difesa.

A questo punto potremo dire che La Sorellanza porta bene a Siena, passando pure dalla vittoria da 2 punti a quella piena da 3.

Concludo con qualche annotazione personale, come sempre:

-bellissimo lo spicchio di palazzetto che a ogni match viene dedicato ai piccoli pallavolisti, ieri tutto in arancio.

-capisco che Wlodarczyk, come tutti i polacchi, abbia un cognome che pare un codice fiscale e sbagliare la stampa sia un attimo (Vibo insegna) però se mi scrivete Wlody io, che ho una mente contorta, sto tutto il tempo a pensare a Woody di Toy Story.

-qua ci coccolano con il braccialettino dell’hospitality (segnalo una pappa col pomodoro buonissima) e siccome prossimamente sarò in altri campi della Superlega vorrei lanciare un messaggio: “Meno esultanze sui tavoli, più cibo per la tribuna stampa”.

Grazie come sempre a Chiara, Gennaro e a tutto lo staff della Emma Villas per la disponibilità.

#TribunaStampa: Siena-Milano, il primo acuto dell’Emma Villas

Ripartiamo con il nostro valzer in giro per i palazzetti della Superlega con la sfida tra Emma Villas Siena e Revivre Axopower Milano. In verità abbiamo già assistito ad altre partite (tra cui la due giorni di Supercoppa), ma solo da semplici spettatrici, giusto per goderci questo nuovo inizio di campionato con tanti nuovi e importanti giocatori ad arricchire il livello già molto alto. Uno di questi lo ritroviamo proprio nella neo promossa Siena e chiaramente stiamo parlando di Saeid Marouf. Il palleggiatore iraniano è uno dei più talentuosi degli ultimi anni, uno che incarna alla perfezione la definizione di “genio e sregolatezza“, uno di quelli con cui ogni attaccante vorrebbe giocare perché la sua imprevedibilità, che spesso rasenta la follia, ti fa mantenere in campo una costante attenzione: potresti ritrovarti un missile terra-aria sparato da posizioni impossibili, impensabili per chiunque. Non per lui.

Ritroviamo una Siena con tanta voglia di vincere la loro prima partita, un tabù che sta diventando quasi una frustrazione (lo confermano le lacrime versate da Hernandez al termine della partita tiratissima con Verona di 10 giorni fa) perché il potenziale c’è eccome: la tecnica di Yuki Ishikawa, l’esperienza di Gabriele Maruotti da Fregene (cit.) e di Andrea Giovi, la potenza quasi devastante di Fernando Ramos Hernandez, la solidità dei due centrali Jurij Gladyr e Vincenzo Spadavecchia che è al suo esordio da titolare in una massima serie (anche se ha fatto parte del roster di Molfetta nel campionato 2015/16, ndr) e la già citata genialità di Saeid Marouf. Dall’altra parte una Milano che si era presentata al via della nuova stagione con tante ambizioni più o meno dichiarate dal presidente Lucio Fusaro, ma che ha raccolto veramente poco fino ad ora. Una squadra che è stata rivoluzionata quasi completamente. Fatta eccezione per la riconferma di Andrea Giani alla guida tecnica, della diagonale Riccardo Sbertoli-Nimir Abdel Aziz e di Matteo Piano, il resto è tutto nuovo: sono arrivati gli schiacciatori Stephen Maar e Trevor Clevenot, reduci da un buon campionato nella passata stagione, un Jan Kozamernik che ha fatto vedere ottime cose a Trento, il libero Nicola Pesaresi e, in corsa, Simon Hirsch.

Prima della consueta analisi della partita vorrei fare una piccola digressione a proposito di palazzetti. Il Palaestra è stato concepito per il basket e come tanti altri (vedi il PalaDozza o o il Modigliani Forum di Livorno, che inspiegabilmente non è mai stato preso in considerazione da Lega e Federvolley… sarà nostra premura chiedere a chi di dovere alla prima occasione) ha una visuale perfetta del campo da ogni parte. Dispiace sinceramente vederlo così vuoto anche se 5.500 posti sono tanti, ma confidiamo che la città trovi il giusto entusiasmo per il volley dopo il vuoto lasciato dalla Mens Sana, ripartita dalla serie B e attualmente in A2.

Le due squadre si presentano in campo con le formazioni tipo che procedono durante tutta la partita fra alti e bassi. Partono meglio i padroni di casa che si aggiudicano il primo set grazie a un Marouf lucido nelle scelte (cioè palla a Yuki sempre e comunque che oggi trasforma in oro tutto quello che tocca) e determinante in fase di difesa. Nel secondo parziale Milano sistema ricezione e fase di contrattacco e pareggia il conto dei set, con Sbertoli che fa volare la percentuale d’attacco di squadra al 70%.

Il terzo set lo passiamo con tutto il palazzetto che canta “Nando, Nando, Nando” ed è subito Teo Mammuccari in Libero. Se lo aggiudica Siena più cinica nel cambio palla diretto. Nella squadra lombarda Sbertoli va un po’ a singhiozzo, con palle spesso basse e poco precise per i suoi attaccanti di palla alta (piccola opinione personale: a me Riccardo è sempre piaciuto però ho trovato il suo palleggio un po’ “impiccato” oggi, molto lento in uscita dalle mani soprattutto quando doveva spingere a banda da lontano). Nel quarto Milano spinge al servizio e porta il match al tie break, per la gioia mia e di tutti i presenti che uniamo così il volley a una seduta criogenica e ci manteniamo belli giovani. E poi arriva finalmente, con il giusto pathos perché le cose semplici all’EmmaVillas non piacciono, arriva la prima vittoria in campionato. Una vittoria di squadra, figlia di tutti i giocatori, ma di Yuki un po’ di più.

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Vorrei ringraziare tutto lo staff della EmmaVillas per la disponibilità e in particolare Chiara e Gennaro.

Concludo con due cose: bello eh il Palaestra, ma fossi Bisogno due stufette da Curitiba le prenderei e un abbraccio a Nando, l’unico uomo sulla terra che non ha i calzini spaiati persi in lavatrice come tutti noi comuni mortali, bensì le scarpe.

Simona Bernardini

Photo Credit: @EmmaVillasVolley

#TBT: diapositive di Superlega 2017/18

Prima di partire con la nuova stagione vi proponiamo alcuni lampi della Superlega 2017/18, giusto per ricordarci da dove veniamo e fino a dove possiamo arrivare.

Modena: scelta di Radostin Stoytchev molto discussa, agli albori della partnership si vedono in giro solo foto di grandi sorrisoni, tutti amici per la vita fino a Natale, momento in cui si rischia già che avanzino due panettoni.

Perugia: per effetto della vintage mania Ivan Zaytsev rilancia la vecchia moda dei trasferelli e si vola tornando tutti bambini.

Milano: Andrea Giani in camicia e pantaloni eleganti che riscalda il libero prima delle partite.
Altro?

Latina: scoppia la polemica sui bagni del palazzetto e sulle casse acustiche, si sarebbe potuta evitare noleggiando il palazzetto a Richard Ginori per il rilancio del brand.
Con furgone Amplifon fuori per un controllo gratuito dell’udito.

Vibo: grossi problemi con le lingue straniere, Pieter Verhees perde una “e” e acquista una “s”. Probabilmente stavano giocando alla Ruota della Fortuna e non avevano soldi per comprare una vocale.

Milano: foto virale di Andrea Giani con il gatto del palazzetto di Busto Arsizio in braccio.
Altro?

Sora: noi diciamo basta al cibo spazzatura e mettiamo un bel furgoncino del fruttivendolo di piazza della repubblica dentro il palazzetto con Fruttina e verdura bio. SimoGian approved.

Trento: girandola di bande e opposti in campo, Accademia della Crusca a gamba tesa in curva.

Verona: Mitar Djuric fuori tutta la stagione. Il loro social media manager MVP indiscusso della stagione.

Civitanova: se avete ancora il biglietto della Supercoppa 2018, non buttatelo: vi servirà come pass gratuito per una visita guidata al museo dei trofei di Osmany Juantorena. Il ricavato sarà devoluto a Beppe Cormio per l’acquisto di un paio di occhiali nuovi.

Ravenna: per stare sempre sul pezzo, con lo stesso biglietto potete accedere anche un corso di balli di gruppo con il ritorno momentaneo nella terra del Mosaico del Maestro Santi Orduna, con tanto di saggio in piazza e annessa sfilata della coppa vinta in Challenge Cup.

Milano: video virale di Andrea Giani che schianta un primo tempo nei 4 metri.
Altro?

Monza: Tanti giovani nuovi, stranieri, con cognomi che sembrano più un codice fiscale. Praticamente l’incubo di Maury.

Castellana Grotte: direttamente dal museo Pompidou, Matteo Paris ripropone le famose opere esposte scolpendo i suoi capelli a ogni partita. Considerato il suo cognome non poteva andare diversamente.

Padova: nonostante il 53 di piede, Gabriele Nelli non fa mai invasione al servizio. Stoico.

Piacenza: anche senza i “vecchi” Samuele Papi e Hristo Zlatanov, il resto della squadra vicino al pensionamento ha battezzato il titolo di MVP vinto dal piccolo Ludovico Giuliani condannandolo a un taglio di capelli da toelettatore pazzo di barboncini.

Modena: a proposito di (Barba e) Capelli.
Amici amici e poi ti rubano la bici.

Buon campionato a tutti.

Antipasto di SuperLega

Questo weekend a Perugia, nel PalaBarton tirato a lucido con una nuova curva mobile (questa volta meccanica, non come la vecchia San Marco che andava smontata a mani nude per far posto a Emma&Gianni) e il taraflex tricolore, è andato in scena il primo trofeo della stagione: la Del Monte Supercoppa. Da quando si è passati alla formula della Final4, è la prima occasione per vedere i nuovi assetti delle quattro squadre che negli ultimi anni si sono giocate i playoff scudetto e l’apertura ufficiale agli sfottò fra le tifoserie.

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Dalla pagina Pallavolo Modena

Facciamo una piccola analisi team per team.

Sir Safety Perugia: è stata un po’ la delusione perché veniva dal triplete, giocava in casa e ha fatto il più grosso colpo di mercato, portando Wilfredo Leon nel nostro campionato. Delusione soprattutto per tifosi e presidente. Anche se in due partite ha raccolto solo un set, la partita con Trento è stata, a nostro avviso, quella più bella di tutto il torneo. I problemi maggiori si sono riscontrati nell’assetto in ricezione, ma è normale visto che i ragazzi a causa dei mondiali appena svoltisi, hanno fatto solo pochissimi allenamenti insieme. Luciano è parso subito in palla sia con Ricci che con Galassi, ancora lontana invece l’intesa con Leon: ma, per quel paio di pipe col perfetto timing viste nella finalina, quando arriverà saranno gioie per i Sirmaniaci e dolori per la linea difensiva degli avversari. In compenso il cubano-polacco ha sdoganato un nuovo 127 km/h in battuta: amici, abbiamo visto tante partite live, ma Wilfredo al servizio la prende talmente alta che arriva in faccia con un angolo tale che è quasi impossibile tenerla. Caschi per tutti!

Cucine Lube Civitanova: delle quattro è quella che non ha giocato con la formazione tipo. Con Sokolov ancora fuori dopo l’intervento chirurgico che gli ha fatto saltare anche i mondiali in casa, ha giocato opposto Simon, e Juantorena si è preso un po’ di riposo nella finalina. A nostro avviso però il problema maggiore dei biancorossi è stato Bruno. Lontanissimo dalle prestazioni a cui ci aveva abituato, sta proseguendo il suo momento opaco visto ai mondiali: alzate imprecise, intesa con i compagni in alto mare e poco reattivo in difesa. Che sia proprio questo il motivo che ha spinto la società a cercare D’Hulst a pochi giorni dal via della Superlega? Chissà! Sicuramente il belga ha giocato con una buona qualità. Un altro punto interrogativo è Balaso: lo aspettiamo sulla distanza perché capiamo che è giovane e alla prima esperienza in un grande club, dove non è semplice tirare fuori la personalità con compagni di tale caratura.

Itas Trentino:  la sorpresa più bella di questa Supercoppa! Ha giocato la prima partita a livelli altissimi, con un gioco fluido e un muro-difesa organizzato. Giannelli, assoluto padrone del campo nella sua nuova veste di capitano, ha distribuito il gioco in maniera perfetta. E poi c’è lui, Jenia Grebennikov, che con difese spettacolari ha fatto quasi dimenticare la sobrietà della sua nuova divisa. Sicuramente il suo arrivo a Trento ha dato una boccata d’aria alla seconda linea che nell’ultima stagione aveva sofferto molto, ma resta il problema nelle rotazioni in cui sarà in posto 1, dove Kovacevic, Russell e Van Garderen saranno messi sotto pressione dal servizio avversario: se tengono ci sarà da divertirsi.

Azimut Modena:  ne parlavamo giusto sabato mattina con alcuni addetti ai lavori e tutti eravamo concordi che sarebbe stata Modena quella che avrebbe trovato per prima l’assetto. I meccanismi non sono ancora ben oliati, però si è portata a casa il primo trofeo della stagione grazie a un gioco corale e soprattutto ad un meraviglioso Micah Christenson, premiato giustamente come MVP della manifestazione, che ha dato la sensazione di giocare con questi compagni da una vita ed è stato il vero trascinatore dei gialloblù (ogni riferimento a chi scrive di volley su giornali rosa e blog non è puramente casuale!). Molto bene il giovane polacco Berdnorz, anche se qualcuno dovrà spiegargli che chiedere incitamento ai Sirmaniaci non è una mossa molto astuta.

 

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Non di certo Leon la vera rivelazione del weekend, ma il profilo fake @maulocantoni!

 

Archiviato il primo torneo stagionale, inizia la SuperLega e anche quest’anno La Sorellanza al completo sarà con voi per seguirla insieme. Non sarà la stessa cosa, invece, per i nostri amici del FantaVolley, ai quali auguriamo di tornare presto su questi schermi: le percentuali di merda non possono rimanere fini a loro stesse!

Le luci e le ombre di questo Mondiale

Se qualche settimana fa ci avessero detto che la Polonia avrebbe vinto questi mondiali, avremmo riso così forte da sovrastare la musica di questo weekend al Pala Alpitour. Nonostante l’interruzione della musica corrispondesse con lo stacco dei piedi dei giocatori in battuta, abbiamo apprezzato particolarmente la playlist. Ma cosa vuoi farci? Siamo profonde amanti del trash. A chiunque abbia osato lamentarsi di quei due geni dei dj, ricordiamo il tormento dei bongo. Kubiak è corto, la nostra memoria no.
Vorremmo provare ad essere brevi ma la nostra indole non ce lo permette. Andiamo per punti. Sparsi, perchè è impossibile dare un ordine preciso a questi pensieri.

  • La Polonia. La Polonia, LA POLONIA! Sono passati due giorni e ancora facciamo fatica a metabolizzare. Forse perchè la squadra, nonostante fosse campione del mondo in carica, non partiva come una delle favorite del torneo. Forse perchè pensavamo che altre squadre avessero maggior valori tecnici. Forse perchè, semplicemente, c’era Kurek. Ed invece non possiamo che fare ammenda e congratularci con questi giocatori e questo allenatore, Vital Heynen, che hanno chiuso la prima fase come capolista del girone D, hanno vinto la pool nella seconda fase, si sono classificati primi anche in terza fase, hanno battuto in semifinale gli Stati Uniti in una gara bellissima e hanno schiacciato in tre set il Brasile in finale. Direi che non ci sia bisogno di scrivere altro. Ah no! Bartosz Kurek MVP del torneo, KUREK! Colui che quattro anni fa venne silurato in sede di convocazione e vide i compagni alzare la coppa dal divano di casa, per quasi un decennio oggetto misterioso del pianeta volley se ce n’è uno. Impronosticabile.
  • Gazzetta e Federazione. Gli errori sono naturalmente ammissibili, nessuno è perfetto. Anche noi, orfane e seguaci di Andrea Giani, eravamo convinte ci fosse la Germania a questi mondiali. Ma che la testata giornalistica di punta del nostro movimento (non nuova a questo tipo di errori) pubblichi su Instagram i complimenti alla Polonia per la sua seconda Coppa del Mondo consecutiva mettendo la foto della nazionale statunitense (che la finale non l’ha neanche giocata) non è giustificabile. Va detto che probabilmente avrebbero sbagliato pure la foto sulla carta stampata ma, onde evitare errori, hanno deciso di non scrivere neanche una parola sull’edizione del lunedì post-torneo. Nozione di demerito anche alla Federvolley che su Twitter pubblica il video dell’intervista di Bartosz Kurek, MVP del torneo, scambiandolo per Michal Kubiak e, beh, ce ne vuole per confondere i due giocatori.
  • L’organizzazione. Discreta. Se la pensiamo in generale non possiamo che dargli almeno la sufficienza. Abbiamo seguito con entusiasmo questo mondiale a Bari e a Bologna senza rilevare particolari “pecche organizzative”. Ma il vero baratro è stata Torino. Capiamo che non sia sicuramente un evento facile da gestire ma se io dopo finalina, finale ed un discreto numero di birre mi alzo per andare in bagno e torno a premiazione iniziata non mi puoi bloccare e dire che non posso tornare al mio posto perché “l’evento è finito”, altrimenti inizio ad imprecare come Julio Velasco contro la Polonia. Altra insufficienza la diamo alla premiazione. Inguardabile. Non troviamo altre parole. Non abbiamo per nulla apprezzato l’utilizzo della scalinata come se fossimo a “Donna sotto le stelle” al contrario, visto che i giocatori erano costretti a salire le scale per poi essere risucchiati nel retroscena. Ultima cosa (poi giuro cambiamo punto). Programmare la prima partita alle 17 e la seconda alle 21.15 implicava che i presenti stessero all’interno del palazzetto almeno 7 ore. Ma proprio chiusi all’interno. Non era possibile superare il recinto esterno del Pala Alpitour, se uscivi non potevi più rientrare. Quindi oltre ai 130€ di biglietti per semifinali e finali bisognava considerare anche un mezzo mutuo per acqua (2€) e birra (5/6€). #ridimensionatevi
  • L’Italia. Siamo partiti carichi, questo è indiscutibile. Ma alla prima partita importante ci siamo auto-cancellati. Nella prima fase a Firenze l’unico match con un minimo di appeal è stato Italia-Argentina, vinto dalla nostra nazionale ai vantaggi nel quarto set con un ace di Baranowicz. E direi che non dobbiamo aggiungere altro. Nella seconda fase, a Milano, l’Italia è stata accoppiata con Finlandia, Olanda ed una delle favorite per il titolo, la Russia. Non sentiamo il bisogno di sottolineare che quello con i russi era l’unico match rilevante in termini di competitività. La contesa è stata vinta dalla nazionale russa al tie break, ma a carte ferme per l’Italia, in quanto la nostra nazionale era già qualificata per la terza fase mentre i russi avevano bisogno di una vittoria per arrivare a Torino. Ma ora arriviamo al punto dolente, la terza fase appunto. Quando sono stati sorteggiati i due gironcini abbiamo tirato TUTTI un sospiro di sollievo. Serbia e Polonia sulla carta erano le due formazioni con cui l’Italia poteva tranquillamente giocarsela, sicuramente era importante aver evitato Brasile e USA. Ci aspettavamo tutti che l’Italia avrebbe giocato le due partite mercoledì e giovedì perchè, si sa, nei gironi a tre il tutto viene deciso tra la prima e la seconda giornata. Forse è per questo che siamo rimasti un po’ sorpresi quando è uscito il calendario con Italia-Serbia programmata per il mercoledì e Italia-Polonia per il venerdì. Ma il giovedì su Rai2 c’è Pechino Express e allora alziamo le mani. Il match contro la Serbia è stato uno schiaffo in faccia a due mani. 15-25, 20-25, 18-25. E per l’Italia il Mondiale è finito nel preciso istante in cui gli uomini di Grbic hanno messo a terra l’ultimo pallone. Il giorno successivo la Polonia si è imposta sulla Serbia 3-0 con parziali alti in tutti i set ed una prestazione che ha iniziato a far venire qualche dubbio a tutti quelli che deridevano Kurek e compagni fino al giorno prima. Venerdì sera ci siamo messe davanti alla tv col nostro birrozzo ed una sola ed unica missione: l’Italia avrebbe dovuto vincere 3-0 concedendo meno di 59 punti ai polacchi. Gli azzurri hanno perso il primo set 14-25. Fine.
  • Il biscotto e la formula. La questione è più semplice di quanto sembri. Se stai combattendo per il gradino più alto del podio, devi giocare tutte le gare come se fossero la finale. Non devi permettere alle altre formazioni di fare i conti per te. Quando si sbaglia la prima partita fondamentale del torneo non si può gridare al biscotto, come un Earvin Ngapeth qualsiasi a Rio. Riguardo alle accuse di un personaggio ben conosciuto negli ambienti trash che avrebbe rinfacciato ai giocatori serbi di dover portare rispetto alla nazionale italiana, in quanto molti di loro vengono stipendiati da anni dai nostri club, preferiamo non esprimerci perché supera qualsiasi livello di assurdità. La questione sulla formula è altrettanto semplice: fa merda! Speriamo vivamente di non doverci più confrontare con una formula del genere perchè non abbiamo ancora terminato di fare i conti al termine della seconda fase.
  • La Rai. Non è la prima volta che facciamo “polemica” (eh!) riguardo al palinsesto Rai (EH!). Ma questa volta non vogliamo porre l’attenzione sulla scelta di aver mostrato  in diretta il girone di Firenze e quello BOMBA di Bari in differita in nottata, né faremo notare il basso livello del “salottino” condotto da Rolandi e Mastrangelo. Vogliamo utilizzare le ultime righe di questo pezzo per commentare, con parole nostre, le dichiarazioni di quella che purtroppo viene considerata come la prima voce Rai durante la “finalina” USA-Serbia. In sostanza, è stato dichiarato che il pubblico femminile tifasse USA solo per il bel faccino di Matt Anderson. Caro Maurizio, per quanto poco ci stupisca la pochezza di questa dichiarazione, vorremmo solo dire che il bel faccino ha una tecnica ed un’eleganza nei movimenti unica al mondo, e che sempre il bel faccino è stato premiato come miglior opposto del torneo (che è solo l’ultimo dei tanti premi individuali che ha ricevuto nella sua carriera). Che è sbagliato generalizzare, che lo sappiamo che Nelli porta un 53 di piede e che Micah si pronuncia “Maica” e non “Mika”. Quante cose vorremmo dirti, quante.

Questi sono, per noi, i punti salienti di questo Mondiale. Che per noi non è stato un Mondiale come gli altri. E’ stato il primo Mondiale come Sorellanza, il mio Mondiale seguito in maniera così approfondita perché organizzato in Italia (e Bulgaria). Questo ci ha permesso di organizzare trasferte, rivedere amici e conoscere altri appassionati.

Ma il famoso detto dice: morto un torneo se ne fa un altro! Ci risentiamo presto su questi canali per la presentazione della Supercoppa!

La Sorellanza

Photo Credits: @guilhermectx

Mondiale in Cornice: epilogo

Nelle puntate precedenti…

CROSSROAD

Italia – Wishlist (Yield, 1998)


Ho recentemente incoronato
Yield come mio album preferito da macchina, specie quando mi trovo in un determinato punto dell’Adriatica, appena fuori Ancona Nord. C’è un tratto in cui purtroppo non c’è spazio per fermarsi, un panorama che mostra il porto, tra le colline. Ultimamente percorro quel tratto molto spesso e se sto suonando Yield faccio abbastanza pace con il mondo.

Non ricordo la fonte (perdonatemi), ma qualcuno scrisse che Yield è un grande disco da viaggio in auto. Sono sostanzialmente d’accordo e aggiungo che Yield è un grande disco da viaggio con un tocco di epicità; quella dei crescendo di Faithfull, Given To Fly, In Hiding, che ascoltate in velocità donano un certo senso di liberazione interiore e il pensiero che, in fondo, le cose non vanno poi così male, in generale.

Yield ha anche un certo legame di fondo con l’Italia. Due anni prima della pubblicazione del disco, Vedder rimase così alienato dal traffico di Roma da scriverci MFC, ma fu ancora più scioccato dallo scoprire un libro di traduzioni dei suoi testi che rispondeva malissimo al loro significato reale (spero per decenza che nessuno in seguito gli abbia riportato il modo in cui venne presentato nelle sale cinematografiche The Eternal Sunshine Of The Spotless Mind… scusaci Ed, siamo notoriamente dei cazzoni). Il tutto è raccontato in una bella intervista a Fausto Casara, che trovate qui.
Vedder decise dunque di fare le cose per bene e nel booklet dell’edizione italiana di Yield venne aggiunto un inserto con la traduzione fedele delle liriche, avallata dallo stesso cantante con un messaggio.

Comunque, in mezzo al disco si pianta una ballad semplice semplice ma discretamente famosa (l’avrete sicuramente sentita in radio). Ora, immaginate che vi si presenti alla porta uno con lo sguardo e la voce di Ed Vedder e decida di cantarvi questo:


Roba da vestirsi di bianco virginale e in tre nanosecondi scarsi presentarsi all’altare, farci quindici figli e andare a vivere in riva al mare scrutando l’orizzonte sulle note di un ukulele.

Wishlist è come se fosse una promessa matrimoniale e, nello stesso tempo, l’interpretazione di un desiderio ad ampio raggio.

Vorrei essere la testimonianza
Vorrei essere il terreno
Per cinquanta milioni di mani sollevate e rivolte al cielo

Vorrei essere il verbo “fidarsi”
E non deluderti mai

La promessa che l’Italia di Blengini vuole provare a concretizzare sul palco italico di questi Mondiali non credo necessiti di alcuna spiegazione. Per chi vi scrive, e non penso di essere la sola, l’Italvolley rappresenta qualcosa in più di un semplice sfogo da furore patriottico: è stata il mio spirito guida da bambina, ha resistito all’addio della Generazione di Fenomeni costruendo con il lavoro un suo posto nell’élite nonostante l’emorragia di talento, mi ha fatto solennemente imprecare e smodatamente esultare e mi ha provocato quei sei/sette infarti nella splendida Olimpiade di Rio, prima di quella stramaledetta finale.

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Non ce lo siamo mica scordato, il Principino – Photo Credit: Sportfair.it

Chicco, del tutto giustamente, ha scelto di mantenere un profilo basso, mentre il rientrante Osmany Juantorena, nel bagno di umiltà generale, ha deliziato la nostra estate vestendo una maglietta con la sua faccia stampata sopra. Considerato che non è difficile ritenere la sua presenza determinante, la cosa ha involontariamente gonfiato la promessa di aspettative di gloria (Osmany pallavolisticamente è molto simile a un semidio, ma ha disconosciuto fin da piccolo il significato dell’“anche meno”).
Al di là dell’esibizione dell’ego, la decisione di viaggiare sotto traccia nelle tappe di avvicinamento a un Mondiale organizzato in casa è agonisticamente corretta, specie per una squadra che da anni alterna stagioni vivissime ad altre interlocutorie (con tanto di scazzi assortiti). In sostanza, questi mesi di preparazione sono stati un po’ il Single Video Theory della nazionale italiana, pervasi dunque da una certa normalità di fondo e da un’atmosfera discreta, ma moderatamente positiva. 

Il talento dell’Italia non è debordante come nell’ultimo decennio d’oro del XX Secolo, ma la formazione tipo che si presenta ai nastri di partenza, se in condizione, è oggettivamente competitiva.
Va da sé che se salta anche solo una pedina siamo mediamente fottuti, ma in un torneo così aperto e senza una squadra dominante sulle altre è logico non accontentarsi di fare bella figura. 

Yield, dicevamo, uscì nel 1998, l’anno dell’ultimo Mondiale vinto dall’Italia. Credere nella promessa non costa nulla, alleggerire le spalle dalla pressione che inevitabilmente arriverà, forse un po’ di più. Noi siamo qui, a sperare che questi ragazzi salgano in auto, sparino a volume osceno Faithfull e prendano la direzione giusta per un lungo, bellissimo viaggio. 

Ed echi che nessuno sente, vanno, vanno, vanno
Siamo fedeli, tutti noi crediamo, tutti noi ci crediamo
Così fedeli, tutti noi crediamo, tutti noi ci crediamo

Buon Mondiale a tutti

Un ringraziamento finale a:

  • PearlJamOnLine.it per testi, traduzioni, video e l’immane archivio sul gruppo che mi sono spulciata in questi mesi
  • Francesco Farabegoli di Bastonate per il Vox Populi sulla crisi d’identità del barbiere di Eddie Vedder, per il già citato listone e per aver scritto la cosa più bella che abbia mai letto su Vitalogy
  • Le amiche e colleghe Ilà, Simò e Rosà che senza batter ciglio mi hanno permesso di scrivere questa cosa mediamente collaterale e sostanzialmente inutile

Mondiale in Cornice: capitolo secondo

Nelle puntate precedenti…


LOST (UNDER)DOGS

Slovenia – Unthought Known (Backspacer, 2009)

All’interno del bruttino Backspacer ad un certo punto sbuca fuori questo pezzo. Arriva al termine dell’unico filotto apprezzabile, quello che va da Just Breathe (valle di lacrime: non ho mai visto così tanta gente piangere come su Just Breathe, giuro) a, appunto, Unthought Known, che parte piano, cresce e deflagra nello stesso momento in cui ti rendi conto che la band che ti ha accompagnata per lunghi tratti della tua esistenza è ancora abbastanza sul pezzo. Terra tornata in asse, disco salvato e si può ricominciare a respirare.

Nel covo della Pool A dell’Italia c’è questa squadra che da un paio di mesi sta viaggiando sotto traccia nella periferia della pallavolo internazionale, ovvero la VNL dei poveri, ovvero la European League. Come si fa a ritenere pericolosa una squadra che si piazza al dodicesimo posto della serie B dei tornei estivi? Si fa, perché spesso – non sempre – i tornei estivi non contano una sega, e perché se diamo uno sguardo a chi ci troveremo di fronte a Firenze è legittimo mettersi in allarme. Ricordiamoci, tra l’altro, che l’Italia dagli sloveni si prese una ripassata non proprio gradevole nella semifinale europea di tre anni fa. Quella Slovenia era allenata da Giani (ora sulla panchina della Germania), ora c’è Boban Kovac (auguri, soprattutto a chi gli sta vicino quando sclera).

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Occhio a questo qui – Photo Credit: WorldOfVolley

Fatte le dovute premesse e posto che non ho la sfera di cristallo, considerata la solidità non sempre granitica dei nostri in ricezione a una squadra che al servizio schiera gente come Stern, Urnaut, Cebulj, Pajenk e Kozamernik, un tantino ci starei attenta. Confido che Blengini abbia imparato la lezione.

Puntiamo un euro sulla sorpresa del torneo? Puntiamo.

Belgio – Red Mosquito (No Code, 1996)

Dovevo trovare un modo per incastrare No Code da qualche parte: se la gioca con Vitalogy, forse perde solo al fotofinish e solo perché Vitalogy, quando lo acquistai, stravolse completamente quella che fino ad allora era la mia percezione del gruppo, che passò dall’essere uno dei tanti a una presenza costante di vita. Diciamo pure che Vitalogy mi ha abbastanza cambiato l’esistenza ma su disco No Code è invecchiato meglio.
Comunque, dovevo trovare un modo per mettere nel calderone Red Mosquito, che personalmente pongo sul podio delle mie preferite all time (anche questa suonata a Padova, arigrazie Eddie manco a farlo apposta) e che guarda un po’ si adatta perfettamente ai diavoli belgi.

Sono stato morso, dev’essere stato il diavolo,
Mi stava solo facendo
Una visitina, per ricordarmi della sua presenza
E per farmi sapere che è in attesa,
che mi sta aspettando, ooh
Se avessi saputo allora quello che so adesso

Il Belgio ci aspetta, anche lui reduce dal purgatorio della European League (presa appena più sul serio degli amici sloveni: sesto posto) e dopo averci sonoramente tranvato nei quarti dello scorso Europeo, in una delle peggiori uscite pubbliche dell’Italia dell’era Blengini.

belgio
Verhees se la ride e ne ha ben donde 

Se solo Chicco lo avesse saputo, che i belgi potessero fare così male… eppure un po’ avrebbe dovuto sospettarlo, perché non parliamo esattamente di una squadra di scappati di casa. A partire da diverse vecchie conoscenze del nostro campionato: Simon Van De Voorde, Pieter Verhees e l’efebico, fascinoso capitano Sam Deroo (già in pole acchiappainquadrature, quota più bassa solo per l’ovvio Matt Anderson). Lineari e classici come questa ballata un po’ Led Zeppelin, un po’ Zio Neil Young. Il background musicale di ognuno di noi è determinante nel decretare i vincitore, ragion per cui non posso che adorarla.

Come spesso gli è capitato in passato, Blengini si è fatto travolgere dalla sottovalutazione di una squadra semplicemente ordinata, dunque perfetta per mettere alle corde la stentorea Italia presentatasi in Polonia lo scorso settembre dopo i tumulti del caso Shoesgate.
Ora che le scarpe sono a posto e gli avversari li conosciamo, evitiamo che le zanzare diventino dragoni.

Argentina – Love Boat Captain (Riot Act, 2002)


Leggo con dispiacere misto a stupore che Riot Act ha fatto schifo a molti. Ne prendo atto e lo confesso, Vostro Onore.
Riot Act, per me, è un album bellissimo. Che non inventa nulla e non esce dal seminato del background musicale della band, ma ammetto che i Pearl Jam in versione incazzata nera sono da sempre i miei preferiti, e in Riot Act sono incazzati neri. Con l’umanità, con Bush, con il fato, sono incazzati come possono esserlo dei quasi quarantenni nel post-Roskilde (dunque con dinamiche ovviamente diverse rispetto al decennio precedente) e il tutto emerge nel sound corale e struggente del gruppo e nella voce di Eddie mai così profonda e dilaniante. C’è solo una cosa che non ho mai perdonato a questo album, più precisamente allo stesso Vedder: l’inspiegabile scelta di sacrificare la folta chioma a favore di un tappetino vagamente militare, a dimostrazione del fatto che per trasformarsi da “frontman extrabono” a “impiegato ufficio tributi di Riola Sardo” il passo è più breve del previsto. Ma tant’è, era incazzato nero e doveva far incazzare pure noi.*

E’ proprio da Roskilde – ma non solo – che nasce Love Boat Captain. La scrisse Vedder in tandem con Kenneth “Boom” Gaspar, l’organista-turnista ormai diventata presenza fissa nel gruppo, un omone hawaiano fisicamente a metà tra Mansour Bahrami e Frank Lapidus di Lost su cui Ed mise occhi e orecchie mentre suonava l’organo a una veglia funebre. Anche Love Boat Captain fa schifo a molti, diciamo che per molti è la canzone del disco che fa più schifo. Ne (ri)prendo atto e mi espongo dicendo che, se non è la migliore, rientra nella lista dei primi sei pezzi dell’album che mi fanno volare molto (tipo, a me fa impazzire Cropduster, forse perché ho un feticismo irrisolto per i mid-tempo) e che si agganciano alla tripletta finale 1/2 Full – Arc – All Or None . Non so se mi piace vincere facile e nella giungla del gusto è tutto relativo, ma per un Riot Act 2.0 in uscita nel 2019, pure disinnescato e meno tragico, metterei la firma.

luciano
❤ – Photo Credit: Volley News

Perché l’Argentina? Perché probabilmente non vincerà il Mondiale (ha troppe frecce spuntate nel suo arco d’attacco), ma ha due capitani che rappresentano l’amore per la pallavolo più di qualsiasi altra squadra in ballo. Perché un eventuale capitano dell’amore potrei immaginarmelo come quello in campo, l’Artista e regista illuminato Luciano De Cecco, aka il miglior palleggiatore del mondo. Ma soprattutto come quello in panchina, l’eterno Julio Velasco, uno che due cosette in vita sua le ha insegnate e continua ad insegnarle.

Come la traccia 3 di Riot Act, non vincerà il premio della più forte, ma è ugualmente necessaria.

*appena formulato il pensiero sui capelli, nelle mie scorribande sul web mi sono imbattuta in questo pezzo di Francesco Farabegoli su Bastonate, a ulteriore prova del fatto che Eddie in chioma corta faceva già schifo a tutti da tempo e che quando ti viene un’idea carina c’è sempre qualcuno che l’ha scritta meglio di te. Leggetelo questo listone, è splendido e divertentissimo.

Iran – Dissident (Vs., 1993)


Un dissidente è qui e risponde al nome di Saeid Marouf.
Nel caso dell’Iran di Igor Kolakovic non c’entrano aspetti sociopolitici, almeno non conosciamo vicende strettamente legate al soggetto (conosciamo bene, purtroppo, l’eterna assurdità delle donne iraniane interdette dai palazzetti del loro paese). La dissidenza del palleggiatore neo acquisto di Siena sta tutta nella sua estrosa idea di pallavolo che mal si sposa con il concetto tatticamente lineare di tutto il resto della squadra; insomma, parliamo di uno che per dieci minuti a partita decide di giocare come un semidio e tu sei lì che ti chiedi dove stracazzo sia stato per tutto questo tempo.
Ecco, il problema sta tutto nella durata: un set se va di lusso. Il corto circuito sotto la folta criniera di Marouf è sempre dietro l’angolo e chi lo conosce ne è ampiamente consapevole, così si gode quel briciolo di folle bellezza che il nostro dispensa ogni tanto.

 

marouf
Non so onestamente cosa stesse tentando di fare – Photo Credit: FIVB

Il resto dell‘Iran non ha talento quanto Marouf e si poggia su una linearità semplice semplice, forte di peso e centimetri, che lui pare sadicamente divertirsi a scardinate. In ogni caso, se vi capita e se amate il ruolo, andate a vederlo. Vale comunque la pena.

Tra parentesi, per la centordicesima volta gli iraniani si troveranno accozzati agli amiconi della Polonia nel girone preliminare, nella fattispecie la Pool D di Varna, che si preannuncia raggruppamento ad altissimo potenziale botte. Qui si spera tutti che finalmente la questione si risolva, ché passare da Dissident a Blood è un attimo (qui il riassunto delle puntate precedenti).

The Unpredictables – Footsteps (“Jeremy” single, 1992)

In fondo quando stiliamo liste siamo tutti un po’ Nick Hornby, poi spesso ci perdiamo dei pezzi. Capita, è il bello delle liste.

Da amante del gruppo ho questo tarlo idiota nel cervello che continua a ritenere uno scempio l’esclusione di Footsteps da Ten. Primo, perché trattasi della chiusura della trilogia Momma-Son e doveva starci per pura questione di coerenza; secondo, perché a distanza di 27 anni ho questo sogno di prendere Ten e rivoltarlo come un calzino, cambiare l’ordine dei pezzi e strutturarlo come un’opera rock basata proprio sui temi di Momma-Son. Terzo, perché Footsteps è bellissima in ogni sua forma e da amante sì del gruppo, ma con andamento a elastico in quasi vent’anni che ci conosciamo, l’ho scoperta molto tardi e quasi per caso.
Sì, sono un’idiota.

Tutto questo per arrivare a dire che puoi fare tutte le supposizioni che vuoi sulla potenziale sorpresa del torneo, poi dal nulla sbuca una Spagna 2007 o una Cuba 2010 sostanzialmente impronosticabile che fa saltare il banco e pace alla nostra vena di pseudo-intenditori. Da qui al 30 settembre potrebbe pure succedere; non saprei onestamente pescarne una al di fuori di quelle già citate, ma se è vero che la condizione del momento è decisiva, chissà.

E allora, alle inaspettate, dedichiamola ‘sta Footsteps. Lasciamo che saltino fuori queste sorprese per le quali tifare, fosse per simpatia, spirito di rivalsa, bel gioco o chissà che altro. Le accoglieremo con piacere.

••• CONTINUA •••